..le arti marziali in Italia, sono arrivate piuttosto tardi, sembra che uno dei primi insegnanti fosse un reduce della seconda guerra mondiale, che imparò il ju-jitsu in Giappone. Era intorno agli anni '50 ed il Judo ed il Karate avrebbero atteso altri dieci anni per svilupparsi.
Il Judo, che era una rielaborazione del tradizionale Ju-Jitsu a cui erano state tolte le tecniche più pericolose per consentirne un uso sportivo, divenne negli anni '60 disciplina olimpica e il Karate riscontrò da subito un enorme successo, per la spettacolarità delle sue tecniche.
Codificato nel 1600 nell'isola di Okinawa, tolse al Kung Fu cinese (da cui aveva appreso i principi di base), tutti quei gesti coreografici ed imitativi degli animali, per elaborare delle tecniche più adatte ad un allenamento di tipo militare evidenziando però le tecniche di pugno e calcio senza l'uso delle armi,fino ad arrivare ad un vero virtuosismo personale di autodeterminazione tecnica. Il termine Karate significa appunto "mano vuota".
Il Kung Fu fece la sua prima apparizione in Italia intorno agli anni '60, quando cominciarono ad invitare i primi insegnanti cinesi. Il primo maestro cinese di Kung Fu tradizionale fu il compianto Si-Fu Chang-Dsu-Yao, scomparso ormai negli anni '90. Egli praticava lo stile Shaolin, un Kung Fu dai movimenti ampi e molto figurativi. In quegli anni, l'allenamento tecnico era rappresentato principalmente sullo studio delle forme come memoria tecnica, con posizioni più statiche, ma veloci e potenti come nei katà delle scuole giapponesi e più sciolte e armoniose, ma ricche di colpi dei taolù cinesi. Questa apparente differenza tecnica, creava spesso una certa rivalità tra le due forme di arti marziali, che venivano però rappresentate tutte e due allo stesso modo durante le esibizioni, con tecniche di rottura di mattoni, tegole o con dimostrazioni di ci-kung e resistenza al dolore. Questo tipo di rappresentazioni tecniche così spettacolari richiedevano una grande determinazione ed un costante allenamento fisico, ma era l'unico modo per dimostrare la propria abilità ed il proprio coraggio visto che durante le competizioni sportive di combattimento era vietato il contatto pieno. Solo in seguito, con la nascita di quelle che sarebbero poi diventate discipline da ring, parlo del Karate Contact chiamato poi Full Contact, della Kick Boxing, e della Muay Thai o Boxe Thailandese, l'antichissima arte nazionale del Siam. Tutte discipline in cui era ammesso il contatto con regole precise e con protezioni per le mani e i piedi, ma pur sempre molto combattive.
Nel Full Contact si possono usare, oltre alla scherma pugilistica anche gli arti inferiori con calci dalla cintura in su, nella Kick Boxing le regole permettono anche di colpire con calci alle gambe e nella Muay Thai, l'uso delle ginocchiate e delle gomitate ha reso tutto molto più spettacolare. Per circa un ventennio, le arti marziali e le discipline da ring si sono spartite la scena con competizioni ed esibizioni, tecniche di rottura spettacolari per le arti tradizionali, combattimenti a contatto per le discipline sportive, fino all'avvento negli anni '90, di quello che avrebbe rivoluzionato il concetto di arte marziale nel suo termine più completo e cioè: "la nascita dei tornei senza regole".
All' inizio i tornei, che spesso venivano disputati in una gabbia per enfatizzare ancora di più l'evento, vedevano confrontarsi atleti di discipline diverse tra loro, stili abituati a colpire di pugno e di calcio incontravano sistemi basati sulla lotta sia in piedi che al suolo. Erano tornei decisamente cruenti con pochissime limitazioni e con la possibilità di colpire l'avversario anche quando esso cadeva a terra e visto che non erano ammesse protezioni o guanti protettivi, le ferite e i KO erano una consuetudine. Tuttavia quello che saltò subito agli occhi fu la netta superiorità che avevano "i lottatori" contro i cosiddetti colpitori, quindi discipline basate su prese, sbilanciamenti, chiavi articolari, strangolamenti, ecc. la fecero in quegli anni da padroni.
Queste fece chiaramente riflettere tutti quegli artisti marziali, abituati ad un combattimento da schermidore, certamente preparati ad un contatto pieno, ma sicuramente non abituati alla lotta al suolo e visto che comunque era chiaramente vietato colpire nella zona degli occhi, della gola e dei genitali, un lottatore ben preparato fisicamente poteva sopportare di essere colpito da pugni o calci nei primi momenti del match quel tanto che serviva per chiudere la distanza e portare l'avversario ad un combattimento a lui più congeniale, cioè a terra, ed è proprio durante le tecniche al suolo che si vide la differenza didattica delle due discipline. Inutile negarlo, i lottatori erano tecnicamente più preparati e questo cambiò decisamente tutti i criteri di allenamento dei futuri atleti del ring. Tutti quei professionisti che ormai come i pugili venivano pagati profumatamente, si allenavano ad un combattimento completo, con tecniche di pugni, calci e lotta sia in piedi che al suolo, questo chiaramente indusse anche i lottatori ad imparare a calciare e boxare.
Ora le cose si sono un po' equiparate, non c' è più una netta superiorità nei due sistemi di lotta, ora gli atleti sono fisicamente preparati su tutti gli aspetti del combattimento e la vera differenza la fa il valore di ogni singolo personaggio (continua).
articoli precedenti:
4a parte
Storia delle arti marziali: il kalaripayat
3a parte
Storia delle arti marziali: Taekwondo, Vietvodao, Silat, Kali
2a parte
Storia delle arti marziali: Ju Jitsu, Judo, Aikido e Kendo
1a parte
Storia delle arti marziali. Il kung fu (prima parte)
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