lunedì, gennaio 02, 2006

I miei inizi ( prima parte)


Ricordo ancora i miei inizi, ero un bimbetto e il mondo marziale era pressoché sconosciuto nella mia città, Roma, ma credo in tutta l'Italia di allora, le uniche arti marziali conosciute erano: il Judo, il Karate e il JuJitsu (che quasi non si riusciva a pronunciare). Il Kung Fu era conosciuta da pochissimi, ed ebbe la sua esplosione solo dopo l'uscita dei film di Bruce Lee.
Ho iniziato a praticare il Karate, stile Wado Ryu del Maestro Toyama (io però ero allievo di un suo allievo). Devo precisare, però, che in quegli anni essere uno sportivo non era ancora considerato "in", parlo degli anni '70 e l'aerobica e il fitness sarebbero arrivate solo dieci anni più tardi e con loro tutto il marketing esploso nell'abbigliamento sportivo, persino il footing o lo jogging non erano molto praticati, al massimo la corsa era considerata una preparazione atletica per i pugili. E' proprio a questo che volevo arrivare, le palestre, in quegli anni erano solo per gli sport come appunto la boxe e alcune arti marziali, quindi la scelta era molto limitata, ma non per questo meno affascinante. L'odore di sudore era il primo impatto che si provava entrando nelle sale, e saltava subito agli occhi la struttura spartanità degli impianti di allora, con le sale pesi molto limitate, a meno di trovarsi in un impianto per la pesistica dove si formavano i vari "Macisti" ed "Ercoli" (così come li chiamavamo noi in quegli anni). I corsi però erano frequentatissimi e spesso iniziavano alle tre del pomeriggio e terminavano alle dieci di sera, c'erano i corsi per i bimbi, per i principianti e gli allievi avanzati. Il Maestro non seguiva tutti i corsi, ma era sempre coadiuvato dalle cinture nere (che adesso chiameremmo allenatori) o dagli allievi anziani.
Il mio gruppo, dopo il primo periodo di apprendistato con i più piccoli, era formato ormai da circa 20 o 30 allievi e ci allenavamo spesso dalle 18 alle 21, che erano considerate un po' le mitiche tre ore minime per un buon allenamento. Devo dire, però, che era molto diverso da quello che si fa ora (perlomeno in base alle mie esperienze), iniziavamo sempre con la ginnastica, guidata da un allievo anziano, ginnastica fatta di innumerevoli sessioni di addominali, piegamenti sulle braccia e slanci delle gambe a vuoto. Non voglio dire che adesso questi esercizi non si fanno più, però è tutto più mirato, più ricercato, la preparazione atletica segue un percorso fisiologico, quasi personalizzato, con esercizi mirati adatti al tipo di prestazione che si dovrà eseguire. Anche gli esercizi di stretching, hanno seguito un percorso evolutivo, voglio dire che non basta saper fare una spaccata per saper tirare bene i calci, ma bisogna avere una scioltezza ed una padronanza che solo un allenamento più mirato riesce a dare.
Ma torniamo a quei tempi: dopo la ginnastica, noi ragazzi dovevamo imparare bene le posizioni, i Kata e fare le "passeggiate", le mitiche passeggiate, che consistevano nell'eseguire delle tecniche in movimento, fatte di pugni, doppi pugni e calci, tutti perfettamente allineati, i comandi venivano dati esclusivamente in giapponese (ancora adesso si usa così), era bello vedersi tutti insieme, sembravamo dei soldatini pronti per una parata, sì perché in quegli anni gli iscritti erano veramente tanti, d'altronde le alternative di scelta delle discipline sportive erano molto limitate, chi voleva fare sport poteva scegliere solo sul gioco del pallone, la boxe, il ciclismo oppure le discipline orientali, allora così tanto misteriose e affascinanti. Misteriose perché prima che i film del genere facessero luce sui misteri dell'oriente, quando si sentiva parlare di Karate, si aveva solo l'idea di un super-uomo che, urlando a squarciagola, frantumava tavole e mattoni con il solo uso delle mani e dei piedi, bastava vedere qualcuno che atteggiava le mani in posizione di taglio, per crederlo un esperto marzialista. Solo in seguito avrei scoperto la complessità che si celava dietro a tutto ciò. Comunque, tornando ai miei allenamenti dei primi anni, ricordo con piacere i primi combattimenti liberi tra i miei compagni di allenamento, il Maestro ci allineava tutti seduti, ai bordi del tatami, poi scrutandoci uno per uno, sceglieva a turno le varie coppie che dovevano confrontarsi (quante botte!), per quanto si potesse stare attenti i colpi scappavano lo stesso, ma non c'era quasi mai cattiveria, solo inesperienza. Spesso il Maestro sceglieva uno di noi, quasi sempre un allievo anziano, per dimostrarci il combattimento in maniera più tecnica, ed era veramente un gran bello spettacolo assistervi.
Ogni tanto arrivava qualche ospite qualificato, cinture nere di altre palestre, oppure eravamo noi gli ospiti invitati (prima si usava così), ed era molto interessante confrontare le diverse esperienze, anche se devo dire con un certo clima di rivalità.
Uno degli aspetti più significativi di quegli anni, era l'enfatizzazione che veniva data alle cinture nere, esse incutevano sempre un certo timore e rispetto per quello che rappresentavano, per noi allievi. Solo molto anni più tardi ho capito che quello era solo un punto di partenza, per qualcosa di più complesso e profondo. Comunque tornando alle rispettive visite, che avvenivano nelle palestre di allora, ho avuto l'onore di assistere e partecipare alle lezioni del maestro giapponese Iwao Yoshioka, campione del mondo nel 1968 di kumité (combattimento libero), venne in Italia, sull'onda dei primi film di arti marziali, con uno spaghetti western, intitolato "Karate pugni e fagioli", in cui ne combinava di tutti i colori; il film era quasi comico, ma la sua tecnica era eccezionale.
Noi ragazzi n palestra cercavamo di imitarlo, ma quanta fatica soprattutto nei calci volanti, i mitici yogo-toby-gheri. A proposito, in quegli anni, ma anche in seguito, non c'era personaggio marziale che non si rappresentasse con quel tipo di calcio spettacolare, era un po' il biglietto da visita di ogni atleta praticante, oggi si rappresenterebbero con un intrappolamento, con in mano un kali od un coltello, vista l'evoluzione che hanno avuto le arti marziali; ma allora lo yogo-toby-gheri era il più rappresentativo, in quanto dimostrava la tecnica, la velocità, l'agilità e la precisione nel caso lo si eseguisse ad un'esibizione di tameshiwari (tecniche di rottura). Esso consisteva nel saltare e colpire il bersaglio con un calcio laterale in volo, con il piede in posizione di taglio e con esso si poteva colpire l'avversario oppure delle tavole di legno, o tegole, per dimostrare l'efficacia del colpo.
Devo dire che le rappresentazioni con tecniche di rottura, sono continuate per circa un ventennio a seguire, hanno perso un po' del loro fascino solo negli anni '90 , con l'avvento dei vari tornei senza regole a contatto pieno, prima esse servivano per dimostrare, da un lato l'efficacia della tecnica, dall'altra la caparbietà fisica e marziale di un'atleta, nonché l'autodeterminazione. Anch'io, mi sono cimentato in questo genere di condizionamento fisico, ma in un secondo tempo, quando ho cominciato a praticare il Kung Fu.
Comunque, di quei pochi anni in cui ho praticato il Karate, mi sono rimasti dei bellissimi ricordi, gli amici di allora sono stati sostituiti con altri amici, ma uno in particolare lo ricordo ancora, forse perché ogni tanto c'incontriamo, anche se su fronti diversi, lui ha continuato con il Karate, ora è un maestro qualificato, io mi sono specializzato nel Kung Fu (il suo nome è Remo Capra, ciao amico mio, se mai dovessi leggere queste righe sappi che ti ricordo e stimo ancora).
Dopo i miei primi anni passati nel Karate, ho avuto una parentesi (circa un paio d'anni) nella Boxe, mi piaceva molto, l'allenamento rigoroso, al sacco e poi inutile negarlo, mi piaceva combattere e il pugilato era un grande incentivo, visto che in quegli anni erano ancora vietate le competizioni a contatto, perlomeno in Italia, eravamo ancora negli anni 70-80 ed il Full Contact e la Kick Boxing ancora dovevano svilupparsi e poi spesso le scaramucce capitavano anche fuori dalle palestre (erano gli anni delle bande di quartiere) e quindi saper tirare bene di boxe era senz' altro un vantaggio. Tuttavia, fu quando ebbi la fortuna di iniziare la pratica del Kung Fu, che il mio futuro di artista marziale si sviluppò (...continua).

4 commenti:

Anonimo ha detto...

ciao io sono andrea pratiko karate da 3 anni cn il maestro chionchio ma mi anno parlato molto di te e ti stimo essendo 1 maestro. ciao

Anonimo ha detto...

Ciao...sono manuel ho 18nni e pratiko karate da 9anni ho iniziato con il Wado-ryu con il M°Liberato Alfieri e poi ho continuato con lo shotokan tuttora con il M°Alberto Saliola...ho conosciuto anche io il M°Capra Remo e posso dire che è una grandissima persona e ne ho avuto la fortuna di allenarmi nella sua palestra ke si trova dalle parti di subaugusta...volevo finire nel dire che il karate tanta gente crede ke sia un arte marziale leggera ke nn fa male...ma nn è cosi il karate è un arte marziale ke se scoperta cioè entrando nei suoi partikolari diventa rikko di sorprese e nn ti smette mai di stancarti se lavori con orgoglio e dedizione...ciao a tutti

Anonimo ha detto...

remo capra...mi ci sono alenato...adesso il mio maestro è alberto saliola

Anonimo ha detto...

Sono un'allieva del Maestro Remo Capra. Non so se esistono tanti maestri bravi come lui. E' una persona dal cuore d'oro! Quando cominciai karate, con il maestro Remo, non ero entusiasta all'idea di praticare questo sport. Ben presto il mio maestro mi dette quella spinta che ci vuole sempre quando non hai voglia di andare avanti. E' lui, che mi ha trasmesso molti valori della vita, perché il karate insegna a vivere, e mi ha fatto accendere in me una grande passione per questa disciplina. Tuttora continuo karate con amore e dedizione con questa signore a cui tengo moltissimo e a cui non smetterò mai di dirgli Grazie.
Riporterò le sue belle parole al suo amico con molta gioia. Cordiali Saluti, Carlotta M.