martedì, ottobre 09, 2012

Intervista al Meastro Renato Taramanni - Kung Fu Chuan Shu Long

Salve a tutti,
Eccomi di nuovo qui, sul mio blog, a rispondere alle tante domande che in questi mesi estivi sono arrivate alla mia casella mail, o telefonicamente. Domande, a volte provocatorie, elogi ma anche critiche  o dinieghi, ma tutte in ogni caso degne di risposta.

Proverò a sintetizzare il tutto cercando di accorpare il più possibile le domande comuni, essendo veramente tante e spesso a causa della mancanza di tempo rimaste senza una risposta esaustiva, elaborando una pseudo intervista.

Iniziamo con la prima domanda

D: Da quanto tempo pratica le arti marziali?
R: Ok, considerando che nel momento in cui sto scrivendo, ovvero settembre 2012, ho 55 anni, direi che pratico da circa 50 anni. Essendo negato per il calcio ma molto dotato per l’esercizio fisico, credo che le arti marziali siano state una benedizione, almeno per me.

D: Abbiamo letto più volte che lei Maestro si è cimentato in diverse arti marziali, quali tra queste le è più congeniale?
R: Se volessi semplificare dovrei dire tutte, ma in realtà il Kung Fu, inteso come “Abilità acquisite nel tempo”. Si direi che è il kung fu l’arte che mi rispecchia di più.

D: Quindi sta dicendo che nonostante abbia praticato il karate, il pugilato, l’aikido, la capoeira, la thaiboxe e tante altre discipline che cita nel suo curriculum, nessuna di queste l’ha mai soddisfatta?
R: Al contrario, da tutte ho tratto beneficio, mi spiego:
Ai miei esordi la pratica del Karate era un evento eccezionale ed enfatizzato che ti dava una sicurezza ed un rigore spaventosi, ma per avere dei risultati, si doveva aspettare parecchi anni, mentre io in quel periodo ero spesso coinvolto in risse di strada, e quindi non sempre riuscivo a mettere in pratica quello che facevo in palestra. Per questo inizia a praticare il pugilato, perché era più facile da apprendere, c’era subito il contatto realistico, cosa che nel karate di allora era vietato. Mi ero reso conto che il contatto fisico immediato era una cosa che mi piaceva molto.
Quando mi avvicinai al kung fu, sull’onda dei film di Bruce Lee come tutti all’epoca, ero già un atleta scelto e smaliziato, ed entrai subito nel circuito agonistico.

D: Leggiamo dal suo Curriculum che lei ha praticato il kung fu della mantide religiosa per parecchi anni, sotto la guida di un fortissimo maestro della capitale, famoso anche per le sue spettacolari tecniche di rottura. Perché nel momento in cui ne è diventato istruttore non ha proseguito per questa strada, insegnando appunto il Tang Lang?
R: L’ho fatto, ho insegnato per qualche anno il Tang Lang, supervisionato ovviamente dal mio Maestro di allora, ma per alcuni dissapori che vennero a crearsi in quel periodo (ormai risolti) mi fu vietata la divulgazione di quello stile.
Inoltre, francamente, senza la supervisione di un maestro super qualificato, non me la sentii di insegnare un sistema tradizionale come il Tang Lang. Io l’avevo praticato solo quindi anni, troppo pochi per esserne Maestro.

D: Fu allora che decise di “inventarsi” un nuovo stile di Kung Fu? Il Chuan Shu Long?
R: (ecco una delle domande provocatorie) Io non ho mai detto di aver inventato niente, semmai ho codificato un programma tecnico, dandogli un nome cinese per amore del Kung Fu.

D: Quindi lei ha preso un po’ di questo, un po’ di quello e ne ha fatto un grande minestrone?
R: Beh, a me piace il minestrone, è buono…scherzi a parte, quando decisi di non insegnare più il Tang Lang ero comunque un atleta allenatissimo, con quasi trent’anni di pratica alle spalle, e non era mia intenzione imparare un nuovo stile di Kung Fu, ne tanto meno “tradire” il mio primo maestro di Tang Lang. Ho preferito iniziare un percorso formativo, che arricchisse quello che già conoscevo.

D: E’ per questo che decise di praticare le altre discipline che niente avevano a che fare con il Kung Fu?
R: Gli anni novanta sono stati anni prodigiosi per chi voleva viaggiare o solo partecipare a stage e seminari che ormai venivano eseguiti in tutto il mondo. Prima era impensabile l’idea di una multidisciplinarietà, i corsi erano tutti settoriali e c’era molta diffidenza per altri sistemi. Quelli furono gli anni del cambiamento, lottatori, schermisti, discipline acrobatiche, boxers, tutti ormai erano incuriositi dai grandi personaggi che imperversavano nei seminari, ognuno insegnando la propria disciplina. Anche io ne rimasi affascinato, affiancato a tanti istruttori di diversi sistemi, pronti a cogliere ogni spunto pur di migliorare la propria disciplina. Ormai tutti volevano imparare ad usare il bastone del Kali filippino, i coltelli, lottare come i brasiliani, usare le tibie come i boxers tailandesi, insomma, tutti volevano imparare tutto. E’ così che nacquero i tornei senza regole e la MMA, arti marziali miste, ormai tanto in voga.

D: Ma lei non insegna MMA ma il Kung Fu, che è anche filosofia, rigore, estetica e come dice il “Maestro Shifu” pace interiore, come mai?
R: Bella questa domanda, e la risposta riporta tutto ad un semplice concetto: il Kung Fu è considerato, credo, da tutti come la madre di tutte le arti marziali, qindi niente gli è precluso. Siamo noi insegnanti che magari gli poniamo dei limiti. Io ho imparato tanto e voglio insegnare tanto, e quando imparerò di più, insegnerò di più. Imparare è per sempre, insegnare è fino a che si può. Penso sia proprio questa la mia “pace interiore”. Chissà.

Vi ringrazio per tutte le domande che continuate a farmi. Questo primo esperimento di intervista termina qui, in seguito pubblicherò un’altra parte con altre domande.
A presto

Renato Taramanni

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