Salve a tutti,
Eccomi di nuovo qui, sul mio blog, a rispondere alle tante domande che in
questi mesi estivi sono arrivate alla mia casella mail, o telefonicamente.
Domande, a volte provocatorie, elogi ma anche critiche o dinieghi, ma tutte in ogni caso degne di
risposta.
Proverò a sintetizzare il tutto cercando di accorpare il più possibile le
domande comuni, essendo veramente tante e spesso a causa della mancanza di
tempo rimaste senza una risposta esaustiva, elaborando una pseudo intervista.
Iniziamo con la prima domanda
D:
Da quanto tempo pratica le arti marziali?
R: Ok, considerando che nel momento in cui sto scrivendo, ovvero
settembre 2012, ho 55 anni, direi che pratico da circa 50 anni. Essendo negato
per il calcio ma molto dotato per l’esercizio fisico, credo che le arti
marziali siano state una benedizione, almeno per me.
D:
Abbiamo letto più volte che lei Maestro si è cimentato in diverse arti
marziali, quali tra queste le è più congeniale?
R: Se volessi semplificare dovrei dire tutte, ma in realtà il Kung Fu,
inteso come “Abilità acquisite nel tempo”. Si direi che è il kung fu l’arte che
mi rispecchia di più.
D:
Quindi sta dicendo che nonostante abbia praticato il karate, il pugilato,
l’aikido, la capoeira, la thaiboxe e tante altre discipline che cita nel suo
curriculum, nessuna di queste l’ha mai soddisfatta?
R: Al contrario, da tutte ho tratto beneficio, mi spiego:
Ai miei esordi la pratica del Karate era un evento eccezionale ed enfatizzato
che ti dava una sicurezza ed un rigore spaventosi, ma per avere dei risultati,
si doveva aspettare parecchi anni, mentre io in quel periodo ero spesso
coinvolto in risse di strada, e quindi non sempre riuscivo a mettere in pratica
quello che facevo in palestra. Per questo inizia a praticare il pugilato,
perché era più facile da apprendere, c’era subito il contatto realistico, cosa
che nel karate di allora era vietato. Mi ero reso conto che il contatto fisico
immediato era una cosa che mi piaceva molto.
Quando mi avvicinai al kung fu, sull’onda dei film di Bruce Lee come
tutti all’epoca, ero già un atleta scelto e smaliziato, ed entrai subito nel
circuito agonistico.
D: Leggiamo dal suo Curriculum che
lei ha praticato il kung fu della mantide religiosa per parecchi anni, sotto la
guida di un fortissimo maestro della capitale, famoso anche per le sue
spettacolari tecniche di rottura. Perché nel momento in cui ne è diventato
istruttore non ha proseguito per questa strada, insegnando appunto il Tang Lang?
R: L’ho
fatto, ho insegnato per qualche anno il Tang Lang, supervisionato ovviamente
dal mio Maestro di allora, ma per alcuni dissapori che vennero a crearsi in
quel periodo (ormai risolti) mi fu vietata la divulgazione di quello stile.
Inoltre,
francamente, senza la supervisione di un maestro super qualificato, non me la
sentii di insegnare un sistema tradizionale come il Tang Lang. Io l’avevo
praticato solo quindi anni, troppo pochi per esserne Maestro.
D: Fu allora che decise di
“inventarsi” un nuovo stile di Kung Fu? Il Chuan Shu Long?
R: (ecco
una delle domande provocatorie) Io non ho mai detto di aver inventato niente,
semmai ho codificato un programma tecnico, dandogli un nome cinese per amore
del Kung Fu.
D: Quindi lei ha preso un po’ di
questo, un po’ di quello e ne ha fatto un grande minestrone?
R: Beh, a
me piace il minestrone, è buono…scherzi a parte, quando decisi di non insegnare
più il Tang Lang ero comunque un atleta allenatissimo, con quasi trent’anni di
pratica alle spalle, e non era mia intenzione imparare un nuovo stile di Kung
Fu, ne tanto meno “tradire” il mio primo maestro di Tang Lang. Ho preferito
iniziare un percorso formativo, che arricchisse quello che già conoscevo.
D: E’ per questo che decise di
praticare le altre discipline che niente avevano a che fare con il Kung Fu?
R: Gli anni
novanta sono stati anni prodigiosi per chi voleva viaggiare o solo partecipare
a stage e seminari che ormai venivano eseguiti in tutto il mondo. Prima era
impensabile l’idea di una multidisciplinarietà, i corsi erano tutti settoriali
e c’era molta diffidenza per altri sistemi. Quelli furono gli anni del
cambiamento, lottatori, schermisti, discipline acrobatiche, boxers, tutti ormai
erano incuriositi dai grandi personaggi che imperversavano nei seminari, ognuno
insegnando la propria disciplina. Anche io ne rimasi affascinato, affiancato a
tanti istruttori di diversi sistemi, pronti a cogliere ogni spunto pur di
migliorare la propria disciplina. Ormai tutti volevano imparare ad usare il
bastone del Kali filippino, i coltelli, lottare come i brasiliani, usare le
tibie come i boxers tailandesi, insomma, tutti volevano imparare tutto. E’ così
che nacquero i tornei senza regole e la MMA, arti marziali miste, ormai tanto
in voga.
D: Ma lei non insegna MMA ma il Kung
Fu, che è anche filosofia, rigore, estetica e come dice il “Maestro Shifu” pace
interiore, come mai?
R: Bella
questa domanda, e la risposta riporta tutto ad un semplice concetto: il Kung Fu
è considerato, credo, da tutti come la madre di tutte le arti marziali, qindi
niente gli è precluso. Siamo noi insegnanti che magari gli poniamo dei limiti.
Io ho imparato tanto e voglio insegnare tanto, e quando imparerò di più,
insegnerò di più. Imparare è per sempre, insegnare è fino a che si può. Penso
sia proprio questa la mia “pace interiore”. Chissà.
Vi
ringrazio per tutte le domande che continuate a farmi. Questo primo esperimento
di intervista termina qui, in seguito pubblicherò un’altra parte con altre
domande.
A presto
Renato
Taramanni